C’è pioggia,
continua a cadere
quasi senza sosta.
Come fa
un’orma
ad avere l’eco
di questo vento
sotto?
Io che do musica
al silenzio
di una solitudine
intensa.
Sento tutto questo riverbero dentro.
E accade continuamente.
Life. Love. Poetry.
C’è pioggia,
continua a cadere
quasi senza sosta.
Come fa
un’orma
ad avere l’eco
di questo vento
sotto?
Io che do musica
al silenzio
di una solitudine
intensa.
Sento tutto questo riverbero dentro.
E accade continuamente.
La Brembo
non fa
freni
per un cuore
che corre veloce.
Ho lasciato vuoti
dietro
le mie piccole alluvioni.
Sul mio umore
ho detto tanto,
di questa metamorfosi
non sento più
crisalide attorno
ripiegarmi contro me stesso.
Ora che sono io.
Sulle punte di questo mondo,
ora che io sono
Oceano,
tu perché frammenti
il mio respiro?
Doveva essere
così dura
spezzarsi,
la mia infanzia
incline,
la solitudine
di un’adolescenza
rotta dal vibrare
di un mare forte,
immenso, sotto la superficie.
Ho due balene
sul braccio
come simbolo,
che io so stare
sott’acqua fino a tanto,
senza respirare,
ma cantando alla ricerca
in quel colore unico,
fluttuante, qualcuno
che mi ascolti.
Mi viene alla mente
glicine,
quel muro incrostato,
le pareti che mi hanno
sfamato.
Ricordo le strade
percorse a vagare,
in pomeriggio
dove non si aveva molto da fare.
Forse piangevo,
sotto lo stesso salice,
nel parchetto, dietro casa,
spari di aghi di pino.
Il fieno nelle zone rurali.
Boschi, strade,
palazzi popolari.
L’amore
l’ho imparato
spezzandomi.
Amavo forte,
con quest’apertura
alare,
prima di bruciarmi
la cera per il caldo
di un sole troppo vasto,
per la fragilità
del sottoscritto.
Ho iniziato
con i tramonti,
poi le luci,
il verde,
spettacolo bellissimo,
le allodole,
il polline,
il mare, le onde,
paravelle e altre immagini.
Poi tu.
Il nome,
senza dirlo,
sussurrandolo
appena nei labirinti
che fa la notte
nella foschia
dei sogni.
Nonno
ho paura
ora,
tutto quello
che scrivo
forse non è originale,
non lascia
una traccia
indelebile.
Perché ora
sto sparendo
nel mio vivere quotidiano.
E la luna rimane lì fissa ad aspettare.
Nei miei viaggi
occhi mentali,
di dolci olive
invadono colline.
Trattieni tu la salsedine
o è nel tuo aroma
che si frappone
tutto questo disordine?
Siamo foglie
imperfette
sul fondale.
Giorni grigi
di una luce
tiepida.
Si scuote
il mio essere,
quando scrivo
sul pavimento
sdraiato.
Fuori albeggia
in un respiro,
quanto lontano
può risultare
un reparto
marino,
per queste disintossicazioni?
Non scrivo
le noti
di queste parole.
Ma vivendo
di questo ritmo
mi incanto,
e assuefatto
produrrò un testamento
tutto mio.
Dicono
delle stelle,
spazi
dove si conserva
la luce.
Morivo di refrazione,
cerco bellezza
dovunque,
sui tetti spioventi,
sotto la pioggia,
negli autunni
più freddi,
sulle sveglie
rimandate,
sulle notti sveglio
fino a tardi,
sulle strade
quando si faceva l’alba.
Nei mattini caffè
altrimenti,
lullaby o forse
sinfonia di grate
e netturbini.
Poi sono rinato,
rimasto smorzato
col fiato
sul divenire
dei sogni,
crisalidi d’infanzia
per il continuo scrivere,
questa immaginazione
come disturbo,
in esso la più dolce
e terribile delle cure.
Poi, tu.
I fiori.
Gli eventi.
Labbra
sul bacino
profondo
dei pensieri.
Brividi di fondali.
Note si confondono
in me,
ritmico che non senti
l’eco un po’
arrendersi.
Ascolto i giri
di soffi
Che fa il cuore
nel silenzio,
parti di me
nel respiro
inoltrato.
Dire che scrivo
è abbastanza poco,
ma chiaro in ugual
modo.