Life, ovvero identità.

Doveva essere
così dura
spezzarsi,
la mia infanzia
incline,
la solitudine
di un’adolescenza
rotta dal vibrare
di un mare forte,
immenso, sotto la superficie.
Ho due balene
sul braccio
come simbolo,
che io so stare
sott’acqua fino a tanto,
senza respirare,
ma cantando alla ricerca
in quel colore unico,
fluttuante, qualcuno
che mi ascolti.

Mi viene alla mente
glicine,
quel muro incrostato,
le pareti che mi hanno
sfamato.
Ricordo le strade
percorse a vagare,
in pomeriggio
dove non si aveva molto da fare.
Forse piangevo,
sotto lo stesso salice,
nel parchetto, dietro casa,
spari di aghi di pino.
Il fieno nelle zone rurali.
Boschi, strade,
palazzi popolari.

L’amore
l’ho imparato
spezzandomi.
Amavo forte,
con quest’apertura
alare,
prima di bruciarmi
la cera per il caldo
di un sole troppo vasto,
per la fragilità
del sottoscritto.

Ho iniziato
con i tramonti,
poi le luci,
il verde,
spettacolo bellissimo,
le allodole,
il polline,
il mare, le onde,
paravelle e altre immagini.

Poi tu.
Il nome,
senza dirlo,
sussurrandolo
appena nei labirinti
che fa la notte
nella foschia
dei sogni.

Nonno
ho paura
ora,
tutto quello
che scrivo
forse non è originale,
non lascia
una traccia
indelebile.
Perché ora
sto sparendo
nel mio vivere quotidiano.

E la luna rimane lì fissa ad aspettare.

Dico no

Dicono
delle stelle,
spazi
dove si conserva
la luce.
Morivo di refrazione,
cerco bellezza
dovunque,
sui tetti spioventi,
sotto la pioggia,
negli autunni
più freddi,
sulle sveglie
rimandate,
sulle notti sveglio
fino a tardi,
sulle strade
quando si faceva l’alba.
Nei mattini caffè
altrimenti,
lullaby o forse
sinfonia di grate
e netturbini.

Poi sono rinato,
rimasto smorzato
col fiato
sul divenire
dei sogni,
crisalidi d’infanzia
per il continuo scrivere,
questa immaginazione
come disturbo,
in esso la più dolce
e terribile delle cure.

Poi, tu.
I fiori.
Gli eventi.
Labbra
sul bacino
profondo
dei pensieri.
Brividi di fondali.
Note si confondono
in me,
ritmico che non senti
l’eco un po’
arrendersi.

Circa il tempo

L'asfalto mormora
alle gomme,
l'andare nostro
cosmico
alla ricerca
di onde;
senza mai fine.


Ho pensieri sparsi
circa il tempo,
del cuore,
il suo cammino
contro le porte
della notte perlacea,
bianco latte
là fuori.

Il vento debole,
la sua scaduta
m'attira come
satelliti nell'atmosfera;
i mie versi.
Persi nel vuoto siderale.
Farò del mio procedere
un monolite,
per quelle chiese mosaico
nelle campagne.

Io, che di sfuggita
mi sento figlio
di un mare che m'abbraccia
da padre
e mi coccola col suo tepore
da madre.


Non ho melodie,
solo vento dentro,
sotto il filo d'acqua
di una pelle
da sempre abitata, forse,
un po' abusivamente.

Sarà cara madre,
nel suo suonar sirene
nella mente cosi nell'anima.
Incendiata, famelica
del non vivere
ma guardarsi dentro
ed esclamare; io esisto.
Cosi come il tempo.